Rachid e la forza di un sogno

Posted on dicembre 4, 2011. Filed under: Personaggi | Tag:, , , , , , , , |

Questa è la storia di Rachid Berradi.

La cronaca sportiva lo conosce come un atleta, un olimpionico, di quelli che tengono alto il nome dell’Italia nel mondo.

Un altro tipo di cronaca lo potrebbe descrivere come un “immigrato”, un “profugo”, uno dei tanti, indistinti disperati che sono arrivati in Italia in cerca di fortuna.

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo semplicemente come uomo: ieri l’ho sentito raccontare la storia della sua vita ad alcuni ragazzi delle scuole superiori padovane. Io l’ho trovata una storia straordinaria: la storia di un bambino che aveva un sogno e che con fatica, attraverso gli anni è riuscito a raggiungerlo. Delicata, difficile ma piena di passioni e speranze che per fortuna hanno avuto un lieto fine.

Suonava più o meno così:

Rachid Barradi

“Mi chiamo Rachid e sono nato a Meknes,  in Marocco. Ricordo benissimo il giorno della partenza dal Marocco. Ero piccolo, avevo nove anni. Mi ricordo la sensazione di attesa spasmodica e in un qualche modo felice, eccitata per la nuova vita che ci aspettava in Italia, mescolata alla tristezza per quello che lasciavo in Marocco, i miei amici, la vecchia casa, i parenti.

Io, mia madre, mio padre e i miei 2 fratelli, ci abbiamo messo quattro giorni ad arrivare in Italia, quattro giorni in treno: lunghissimi, durissimi eppure comodi e rassicuranti rispetto ai viaggi della speranza che vediamo oggi.

La nostra meta era Palermo. Il giorno in cui siamo arrivati era caldo, mi ricordo questo, era un giorno caldo come in Marocco. Mi ricordo questo particolare perché l’ho trovato fin da subito rassicurante,  un punto in comune col Paese da cui venivo.

Ho cominciato subito ad andare a scuola. Inutile dire che all’inizio è stato difficile: non capivo niente, non parlavo la lingua. Poi piano piano le cose hanno cominciato a cambiare. Per questo devo sempre ringraziare una delle mie insegnanti, quella di francese che ha dedicato a me non solo tutto il suo impegno sul lavoro ma anche il suo tempo libero: mi faceva le traduzioni di ogni cosa e giorno dopo giorno ho capito sempre di più. Ma vorrei anche ricordare l’accoglienza che ho ricevuto da tutti, un calore che appartiene all’Italia, in modo particolare alla Sicilia. Perché allora, a differenza di tutti i problemi che ci sono oggi, io sono stato abbracciato da questo Paese. Tutti i miei compagni di classe mi hanno subito riempito di regali: nell’arco di una settimana mi sono ritrovato con 10 cartelle. Tutte per me 10 cartelle mentre tutti gli altri miei compagni ne avevano solo una. E poi facevano a gara, letteralmente a gara per invitarmi a casa loro dopo scuola. Sono sempre stato in compagnia.

Una sola cosa mi impediva di integrarmi completamente ed era lo sport, perché, non capendo bene la lingua non riuscivo a giocare in squadra e coordinarsi con i compagni era complicato. Però dopo un anno che ero arrivato in Italia, un bel giorno, pur di saltare un’ora di scuola, ho chiesto di poter partecipare alle selezioni per i giochi della gioventù. Quella scelta, fatta un po’ per birichinaggine, un po’ per scherzo, è stato il momento più importante di tutta la mia vita.

Il sogno è cominciato allora, con questa corsa campestre per i giochi della gioventù che mi ha svelato la strada. Il mio sogno era correre. E vincere. Non so se capiate, voi che mi state ascoltando: avevo un sogno. Purtroppo, lo vedo spesso,  i ragazzi oggi non sognano più. Io invece sono un bambino che ha sognato e vissuto per quel sogno.

Ovviamente è stato difficile: non pensate che seguire un sogno sia facile. Ho fatto tanti ma tanti sacrifici, anche se allora non li consideravo tali.

Lo sport, entrato allora nella mia vita in modo importante, non mi ha plasmato solo i muscoli, anzi. Ha cominciato a diventare importante anche dentro di me e ho capito che mi ha salvato da tanti pericoli. Non parlo di fumo o droga ma di criminalità, di mafia. Il posto in cui i miei genitori hanno scelto di immigrare infatti era la Sicilia, una terra funestata da problemi importanti, colme la criminalità organizzata che coinvolgono moltissimi giovani, soprattutto se immigrati. Ma i miei occhi e le mie attenzioni, grazie allo sport, sono sempre state distanti da queste cose.

Sono poi arrivate le prime vittorie della mia giovane carriera, assieme a loro le inevitabili prime sconfitte. Ma questa era la mia strada, il mio sogno. Ormai l’avevo scelto. E lui mi ha cambiato, segnando l mia strata in tanti modi diversi. Lo sport mi ha aiutato anche in altri modi: è stato un importantissimo veicolo di integrazione reale dentro quel mondo che solo inizialmente ho sentito straniero, l’Italia. Ma attenzione, nella mia esperienza l’integrazione è sempre stato un punto nel mezzo, un compromesso: io faccio un passo verso di te ma anche tu fai un passo verso di me. E credo sia il modo più corretto per intendere queste cose. Spesso si vede l’integrazione come un processo totalmente a carico dell’immigrato ma non può essere così. Per me, non è stato così.

Tornando allo sport: ad un certo punto ho vinto il titolo italiano. Solo allora mi sono accorto di non essere italiano. Solo allora la cittadinanza, in termini di appartenenza formale ad una nazione, ha cominciato a diventare importante. Infatti siccome non ero tecnicamente cittadino italiano non potevo continuare la mia carriera sportiva.

E allora è cominciata la mia odissea burocratica. Complicato, non vi annoio. Vi dico solo questo per farvi ridere, che nella mia famiglia ad un certo punto ci siamo trovati paradossalmente metà italiani metà marocchini. Io e i miei due fratelli nati in Marocco siamo riusciti ad ottenere la cittadinanza italiana mentre mio fratello nato in Italia dopo il nostro arrivo ha dovuto aspettare di compiere i 18 anni per divenire tale.

Comunque nel ’96, anche per me,  è arrivato il momento di giurare sulla Costituzione italiana. E’ stato emozionante, anche se il mio vero giuramento di cuore è arrivato un anno più tardi, nel ’97, ed è stato il giuramento sulla maglia azzurra, la “nazionale”, la cosa per me più importante. Mi ricordo, non ho dormito la notte per l’emozione

Poi nel ’98 il sogno della mia vita ha cominciato a mostrare segni di concretezza: i miei risultati sportivi portavano proprio lì, dritti alle Olimpiadi. E così è stato, nel 2000, a Sidney.

Se un olimpiade per uno sportivo è il massimo orizzonte professionale, per uno sportivo naturalizzato italiano, come me, è stato anche un traguardo dell’animo, di identità interiore. Pensate: 227 Paesi – il mondo intero! – racchiuso in uno stadio ed io ero lì a rappresentare l’Italia, il mio paese. Una cosa pazzesca. Intendo, non è stato solo un gesto sportivo mi sono proprio sentito italiano.

Nel 2002, ho vinto la Stramilano, una vittoria che ho dedicato alla pace tra Israeliani e Palestinesi.

Non dimentichiamo che attraverso lo sport io ho avuto anche un lavoro, cosa più unica che rara oggi. Sono entrato nel corpo forestale dello stato attraverso i miei risultati e a fine carriera cioè nel 2008 ho deciso di mettere la mia esperienza a servizio degli altri, soprattutto i giovani e proprio quelli magari che vivono in condizioni difficili. Nella mia città sono in tanti i ragazzi in queste condizioni, soprattutto in un quartiere, il Quartiere Zen, forse ne avete già sentito parlare. Allora ho fondato la mia Associazione sportiva proprio in questo quartiere per cercare di donare a questi ragazzi quello che lo sport ha dato a me: identità, orgoglio, salvezza e speranza. In una sola parola la vita. Non è facile. Perché noi nel quartiere diamo fastidio. Rubiamo, se così si può dire, i soldati all’esercito della Mafia e li trasformiamo in ragazzi con una possibilità di scelta. Non mi interessa. Vado avanti. Amo la mia terra, amo la Sicilia, amo il mio paese e so che merita più di questo. E io posso fare qualcosa per cambiarlo

Un ricordo ancora? Vito Schifani, uno dei ragazzi della scorta di Falcone morto nell’attentato di Capaci. Era un bravo velocista Vito, oltre che essere mio amico.”

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